In un recente lavoro scientifico il 48% dei cani con patologia glomerulare aveva una glomerulonefrite immunomediata, dimostrata dalla presenza di immunocomplessi mediante analisi istologiche, nel restante 52% la patologia glomerulare più frequente è risultata essere la glomerulo sclerosi, con una frequenza del 21%, mentre l’amiloidosi nel 15,2%. Nel gatto, le glomerulopatie sono meno comunemente descritte anche se è interessante notare come in un recente lavoro scientifico il 54% dei gatti mostrava una glomerulonefrite immunomediata.
La proteinuria rappresenta l’anomalia principale che spinge il clinico a sospettare una glomerulopatia e a volerla indagare mediante biopsia renale. Una proteinuria persistente, con un rapporto proteina/creatinina urinaria (PU/CU) >0.5 nel cane e >0.4 nel gatto, e in assenza di cause pre-renali e post-renali, è da considerarsi patologica e associata ad un danno glomerulare, tubulare o misto. Nonostante non vi sia un valore di PU/CU patognomonico per una data patologia renale, maggiore è tale valore, maggiori sono le chance di avere una malattia glomerulare (PU/CU persistentemente >2.0). Nel cane valori di PU/CU >3.5 indicano, secondo molti autori, la necessità di campionare il tessuto renale.
L’analisi della biopsia renale include l’osservazione strutturale del parenchima mediante microscopia ottica, l’osservazione ultrastrutturale mediante microscopia elettronica, e l’immunofluorescenza.
La diagnosi di glomerulonefrite immunomediata suggerisce l’utilizzo di una terapia immunosoppressiva e si basa sull’ipotesi che la soppressione dell’immunità umorale o cellulo-mediata e la diminuita risposta infiammatoria glomerulare associata, influenzeranno positivamente la progressione, la gravità e la prognosi della malattia. E’ importante ricordare che prima della biopsia renale debba essere stato avviato un iter diagnostico volto ad indagare la presenza delle patologie sistemiche coinvolte nell’insorgenza di proteinuria, come ad esempio malattie infettive per le quali l’immunosoppressione potrebbe determinare un aggravamento della patologia glomerulare.
La malattia glomerulare può avere una presentazione clinica iperacuta, contraddistinta da una marcata proteinuria, albumine <2 g/dl o dai segni clinici della sindrome nefrosica, oppure può caratterizzarsi come lentamente progressiva se la proteinuria è minima e se le albumine sono nei range di normalità o comunque >2 g/dl.
Poiché mancano studi clinici sull’utilizzo di specifici farmaci immunosoppressivi, la scelta rimane empirica e dipende dai meccanismi d’azione, dai possibili effetti avversi e costi.
Nel cane il mofetile micofenolato è stato raccomandato come farmaco di prima scelta in corso di patologia immunomediata iperacuta, sia come monoterapia che in associazione a bassi dosi di glucocorticoidi; l’evidenza della sua efficacia in medicina veterinaria è limitata ad un solo case report, e gli effetti collaterali, se pur poco frequenti, possono essere gravi. I glucorticoidi sono farmaci immunosoppressivi spesso utilizzati per il trattamento delle glomerulonefriti da immunocomplessi primarie nell’uomo. Tuttavia, nel cane i glucocorticoidi possono promuovere la proteinuria e per tale motivo se ne consiglia l’utilizzo nelle sole forme iperacute, dove è necessario l’impiego di farmaci a rapida azione, se utilizzati per un breve periodo e in presenza di concomitanti patologie immunomediate per le quali i corticosteroidi sono dimostrati essere efficaci (es. poliartrite). Sebbene non ci siano studi sull’utilizzo della ciclofosfamide, alcuni autori ritengono che in futuro il chemioterapico possa rappresentare una valida alternativa, soprattutto in virtù della sua rapida insorgenza d’azione. Infine la ciclosporina, per lo scarso beneficio dimostrato, il clorambucile, per assenza di letteratura scientifica a riguardo, e l’azatioprina, per la sua lenta insorgenza d’azione (dalle 2 alle 5 settimane), non sono per ora da considerarsi come prime scelte terapeutiche. Al trattamento immunosoppressivo andrà comunque associata la terapia standard prevista dalle linee guida dell’International Renal Interest Society (IRIS).
L’efficacia del trattamento immunosoppressivo viene valutata sulla base dell’andamento del PU/CU, della funzione renale e delle albumine e classificata in completa, parziale o assente.
Nel caso di mancata risposta entro 8 settimane dall’inizio del trattamento con farmaci a rapida azione oppure 8-12 settimane con farmaci a lenta azione, la scelta del farmaco dovrà essere modificata; in presenza di effetti collaterali o mancata risposta al trattamento immunosoppressivo nei 3-4 mesi dall’inizio della terapia, il farmaco dovrà invece essere sospeso. Se invece si assistesse ad un miglioramento, il trattamento andrà continuato per un minimo di 12-16 settimane.