Gatto nefropatico cronico: il trattamento medico conservativo è ad oggi l’unica possibilità terapeutica realistica. Esso consiste in terapie di supporto e sintomatiche volte a migliorare i segni clinici, correggere i deficit o gli eccessi di fluidi cosi come ristabilire un equilibrio acido-base, elettrolitico, endocrino e nutrizionale. Il piano terapeutico dovrebbe quindi prendere in considerazione lo stadio IRIS di ciascun animale, i segni clinici, i fattori di rischio per la progressione e l’esistenza di complicazioni concomitanti. (Polzin 2017).
Numerosi studi supportano l’utilizzo di una dieta specifica nel gatto nefropatico cronico; questa infatti
consente di aumentare i tempi medi sopravvivenza e, ad esempio, di ridurre i livelli ematici di
fosforo e di FGF-23 (la concentrazione di queste molecole è stata implicata nella progressione
della CKD) (Geddes 2013). I gatti nefropatici alimentati con dieta specifica vivono infatti
sostanzialmente più a lungo rispetto ai gatti che mangiano una dieta regolare.
La dieta renale è quindi consigliata per tutti i gatti con CKD stadio IRIS II-IV (Polzin 2013, Polzin
2017).
Gestione del fosforo
Con lo sviluppo della malattia renale cronica, la capacità di escrezione renale dei fosfati diminuisce
con conseguente iperfosfatemia. L’iperfosfatemia favorirà quindi lo sviluppo di un
iperparatiroidismo secondario renale che contribuirà ulteriormente al deterioramento della
funzionalità renale (Ritz 2005). Minimizzare quindi la ritenzione di fosforo nei gatti nefropatici
cronici è un punto fondamentale nel rallentamento della progressione della malattia renale ed il
prolungamento dei tempi di sopravvivenza.
In caso di iperfosfatemia in un gatto nefropatico, la prima cosa di cui è necessario accertarsi è che
l’animale sia adeguatamente idratato. Se l’idratazione è considerata adeguata, si deve impostare
una dieta specifica renale. È importante ricordare che la concentrazione di fosfati che si cerca di
raggiungere negli animali affetti da CKD è diversa a seconda dello stadio IRIS in cui si trovano.
Nel caso in cui la dieta non sia sufficiente ad un buon controllo dell’iperfosfatemia è necessario
somministrare chelanti intestinali del fosforo. I chelanti del fosforo di cui è riportato l’utilizzo nel
gatto in letteratura sono i sali di alluminio, il carbonato di calcio, i chitosani, il selevamer e il
lantano. La scelta della molecola da utilizzare deve essere dettata dalle alterazioni clinico-
patologiche dell’animale ed è spesso limitata dalla scarsa disponibilità o dal costo eccessivo di
alcune di queste molecole. La dose da utilizzare è da individualizzare in base all’effetto che ha sui
livelli di fosforo (Polzin 2017).
Fluidoterapia
La fluidoterapia acquista un ruolo molto importante in tutti gli animali che hanno una
riacutizzazione di una nefropatia cronica quale conseguenza di un danno pre-renale. In aggiunta a
questo, i gatti sembrano essere particolarmente suscettibili allo sviluppo di una disidratazione
cronica, per l’incapacità di compensare la poliuria con un’adeguata polidipsia.
Nel caso in cui un gatto presenti segni di disidratazione cronica o ricorrente è possibile impostare
una fluidoterapia sottocutanea. (Polzin 2017).
Segni gastroenterici
Il vomito, la nausea e la disappetenza sono fra i segni clinici di più comune riscontro; in particolare
la mancanza di un’alimentazione adeguata, è una delle complicazioni più comuni nei gatti
nefropatici e conduce spesso ad un grave scadimento delle condizioni cliniche generali. La gastrite
uremica con ulcere gastriche è raramente identificata nel gatto dove più frequentemente si
riscontrano mineralizzazioni e fibrosi gastriche; per questo motivo, nel gatto l’utilizzo di farmaci
antiacidi e gastroprotettori è considerata a volte non appropriata; farmaci antiemetici quali
maropitant o ondansetron possono invece mostrarsi utili.
La mirtazapina è un antidepressivo che viene utilizzato come farmaco oressizzante (Quimby
2013).
Squilibri elettrolitici
Circa il 20-30% dei gatti con CKD stadio IRIS II e III presentano ipokalemia; l’iperkalemia è più rara
e normalmente associata a malattie renali più avanzate. L’ipokalemia ha effetti negativi sul rene
stesso. In caso di ipokalemia è quindi necessario impostare una supplementazione; la necessità di
una integrazione preventiva in animali nefropatici normokaliemici non è invece stata ancora
chiarita (Polzin 2017).
Ipertensione arteriosa
La malattia renale cronica è fra le cause più comuni di ipertensione nel gatto; circa il 60% dei gatti
ipertesi presenta lesioni retiniche secondarie. Gli obiettivi della terapia antipertensiva sono quindi
di trattare e/o prevenire lo sviluppo di danni ad organi target quali reni, occhi, cervello e cuore. Le
raccomandazioni dell’IRIS per il trattamento dell’ipertensione sono basate sul rischio stimato di
danno agli organi target. L’obiettivo della terapia è quello di fare scendere la pressione almeno al
di sotto di 160/100 mmHg. Ad eccezione di animali con segni neurologici o oculari acuti, la
riduzione drastica della pressione non è indicata. Il trattamento dovrebbe essere quindi impostato
a step, eseguendo cambiamenti graduali che consentano il raggiungimento dell’obiettivo
prefissato.
È consigliabile impostare le terapie antipertensive in animali adeguatamente idratati. I farmaci
comunemente utilizzati nel gatto per il trattamento dell’ipertensione includono gli antagonisti del
recettore I dell’angiotensina II (telmisartan), gli ACE-inibitori (enalapril, benazepril) e i calcio-
bloccanti (amlodipina). La dose dei farmaci deve essere individualizzata ed è necessario
monitorare i parametri renali, la pressione e i valori di potassio nel tempo (Acierno 2018, Polzin
2017).
Anemia
Circa il 65% dei gatti sviluppa anemia con il progredire della malattia renale cronica. La terapia più
efficace nella correzione dell’anemia secondaria alla malattia renale cronica consiste nella
somministrazione di analoghi dell’eritropoietina; in particolare epoetina e darbepoetina. La
somministrazione di analoghi dell’eritropoietina è consigliata in animali con CKD ad uno stadio
avanzato, con un ematocrito basso e con segni clinici riconducibili alla condizione di anemia
(tachipnea, tachicardia, debolezza). La darbepoetina è generalmente preferita all’eritropoetina per
il minor rischio associato alla terapia (Cowgill 1998), somministrata una volta alla settimana fino a
che l’ematocrito non raggiunga il livello minimo del range di riferimento (Cowgill 1998, Polzin
2017).
Molti gatti con CKD presentano una carenza di ferro che deve quindi essere integrato nel caso in
cui si imposti una terapia a base di darbepoetina. La supplementazione per via orale può però
portare all’insorgenza di segni clinici gastroenterici, mentre la somministrazione parenterale di
ferro destrano può portare a reazioni anafilattiche, seppur rare (Polzin 2017).
I trattamenti rivolti al rallentamento della progressione della malattia renale nel gatto nefropatico cronico, includono
generalmente l’utilizzo della dieta specifica e il trattamento della proteinuria. La proteinuria in
particolare è un noto fattore di rischio associato ad una maggiore mortalità nei gatti. La terapia
specifica consiste nell’utilizzo di ACE-inibitori e antagonisti del recettore I dell’angiotensina II (Sent
2015). La terapia specifica per il trattamento della proteinuria deve essere associata a farmaci che
riducono il rischio di complicanze tromboemboliche (clopidogrel o aspirina).
Quanto vive un gatto affetto da nefropatia cronica?
Molti fattori possono influenzare la prognosi dei gatti affetti da CKD ed in particolare la qualità e
l’intensità delle cure mediche che il proprietario ha intenzione di fornire.
La prognosi è influenzata in modo significativo dallo stadio IRIS dell’animale; da un tempo medio di
sopravvivenza di 1151 giorni (IRIS II) a 35 giorni (IRIS IV) (Boyd 2008). Altri fattori che influenzano
la sopravvivenza in modo significativo includono i livelli di fosforo, di magnesio, di FGF-23, la
proteinuria, la somministrazione di una dieta renale (van den Broek 2018). L’anemia si è mostrata
un fattore prognostico in alcuni, ma non in tutti gli studi; così come la presenza di nefrolitiasi (Polzin 2017).